Sharing economy, la condivisione web su piattaforma nel 2020

La sharing economy, l’economia della condivisione via web, è in un momento di trasformazione. Era il 2013 quando l’Economist dedicò una sua copertina di marzo alla nascita di una nuova forma di economia che, grazie allo scambio e alla condivisione dei servizi offerti, avrebbe portato vantaggi economici, ambientali e sociali. Sette anni dopo è possibile affermare che la crescita velocissima di alcune piattaforme americane, alimentata da grandi fondi di investimento, ha generato contraddizioni e privilegiato la dimensione di mercato rispetto a quella sociale. Almeno sul piano internazionale, perché a livello italiano ed europeo quello che si osserva, invece, è che i processi collaborativi stanno abilitando nuovi servizi e creando nuove filiere ed ecosistemi.

Sharing economy. Business, Internet, Technology

A partire dall’indotto generato da Airbnb nel settore turistico, segmento tra i più colpiti durante l’emergenza coronavirus. Di conseguenza poi, dai bisogni degli host, sono nate piattaforme come CleanB&B, che supportano i proprietari di casa nella conduzione del proprio appartamento. Un altro esempio è Guesty, che permette di gestire la propria abitazione su tutti i portali del settore, e prodotti come Keycafe, un box per gestire le chiavi del proprio appartamento tramite un’applicazione mobile. Di questa nuova filiera del turismo fanno parte anche l’Italiana Edgar Smart Concierge dove le esperienze proposte dai cittadini diventano un pacchetto di servizi riservato agli alberghi, e OspitaMi, associazione nata per diffondere l’home sharing che offre corsi di formazione e convenzioni.

Nuovi bisogni e nuovi servizi stanno trasformando anche altri settori, forse in maniera ancora più interessante, perchè le esperienze non nascono a valle di una “disruption”, come quella generata da Airbnb nel settore del turismo, ma emergono spontanee come processo evolutivo e culturale. Nel food, per esempio oltre all’ormai conosciuto social eating ci sono servizi anti-spreco che recuperano il cibo avanzato dai mercati rionali e lo distribuiscono a chi ne ha bisogno; ci sono i gruppi di acquisto le cui necessità vengono supportate da piattaforme come l’Alveare che dice sì o LocalToYou, uno dei primi esperimenti di platform cooperativism.

Tra le esperienze dell’economia collaborativa più riuscite, abbiamo gli orti condivisi, che spesso sono parte di un’offerta allargata delle cascine che a loro volta si trasformano in coworking, o propongono esperienze gastronomiche e turistiche; ci sono supermercati a km zero che nell’organizzazione del lavoro diventano collaborativi e punti vendita che si trasformano in spazi ibridi dove l’esperienza culinaria è propedeutica ad altre attività.

E proprio gli spazi sono tra i protagonisti di un ripensamento dei servizi che stanno cambiando il volto dell’abitare e anche del welfare. Si pensi alle sperimentazioni sulle biblioteche che diventano luoghi di relazione e di scambio di competenze. In questi ecosistemi i servizi non crescono a seguito di una catena produttiva ma dai bisogni delle persone, rendendo i confini di settore sempre più deboli e osmotici. Qui non si scambiano più beni ma si mettono in contatto servizi anzi, sharing services, che si muovono secondo specifiche logiche sulla piattaforma, che prevedono un ente abilitatore che promuove la messa in connessione fra organizzazioni e comunità.

Oltre 25 le piattaforme italiane di sharing economy dedicate ai servizi alla persona che, mettendo in contatto chi è disposto a svolgere piccoli lavoretti e chi ne ha bisogno, trovano, almeno in potenza, in questi luoghi, punti fisici in cui raccogliere la domanda e l’offerta. Nuove filiere, dunque, o, più propriamente ecosistemi, dove i servizi digitali e territoriali si alimentano, completandosi a vicenda e superando, una volta per tutta, la dicotomia fra spazio analogico e digitale. Parlando di community che si sono differenziate nel mondo, per le innovative strategie di business, possiamo citare molti esempi tra cui Couchsurfing, Meet UpBla Bla Car, e Tabbid, che è diventata la piattaforma web n° 1 in Italia per i piccoli lavori. TABBID è il social network dei lavoretti – fondato dall’imprenditore italiano Alessandro Notarbartolo – che si basa sulla sharing economy, cioè l’economia della condivisione via web. 

Un nuovo modello di fare business che potrebbe valere 8 miliardi nel 2025 (fonte web). L’iscrizione a Tabbid è gratuita e puoi inserire la tua disponibilità, mansione o richiesta utilizzando le tue capacità: un nuovo modo per sentirti utile e soddisfatto di aver fatto delle tue passioni e abilità, un lavoro. Inoltre da poco Tabbid ha aperto anche le porte al mondo del pet offrendo servizi di dog sitting! La sharing economy è un paradigma in cui ci si scambiano saperi, conoscenze e competenze per vivere la vita che tutti desideriamo.

Tabbid di Alessandro Notarbartolo

Il fondatore di Tabbid, Alessandro Notarbartolo spiega come funziona la sua piattaforma: “E’ un servizio gratuito e viene utilizzato dai privati per trovare degli altri utenti che si rendono disponibili ad eseguire lavori di qualsiasi genere. Si parte dai lavoretti di casa oppure dalle ripetizioni o conversazioni in lingua, ai lavori in ambito digital, ad esempio come creare un logo oppure come gestire al meglio una pagina Facebook. Tabbid è assolutamente gratis, nessuna commissione ed in più, il compenso del lavoretto lo decidi tu!” . Per info e dettagli, visita www.tabbid.com 

Arianna Caracciolo

Un pensiero riguardo “Sharing economy, la condivisione web su piattaforma nel 2020

  • 2 Ottobre 2020 in 14:44
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    Analisi molto interessante, dovremmo prendere seriamente in considerazione questi nuovi modelli di sharing economy per impare a sfruttarne a pieno i potenziali

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