AMORE E ANARCHIA
Luigi Dadina racconta una storia a Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani in una trattoria di Ravenna. La storia è affascinante, densa, avventurosa, antica. “Dovresti farne uno spettacolo”. “L’ho già fatto…” Eccolo qua… Maria Luisa Minguzzi e Francesco Pezzi: nati entrambi nel centro storico di Ravenna, lui il 30 agosto del 1849, lei nella notte del 21 giugno del 1852. Da quasi cent’anni abitano, non visti, nella scuola di S. Bartolo, vicino a Ravenna. Nella loro infanzia e adolescenza la città, ma l’Italia intera, è attraversata da sconvolgimenti politici e umani: le imprese garibaldine, l’ideale repubblicano, la caduta del governo dei papi, l’unità d’Italia, l’internazionalismo anarchico e socialista sono solo alcuni degli elementi che segnano la crescita dei due ravennati. Luisa è sarta “silenziosa, attenta, bravissima, con tutti quelli spilli tenuti fra le labbra e via via tolti per segnare i difetti, per stringere, per attillare, pronta a ubbedire, o meglio a rispettare il proprio lavoro di artigiana ineccepibile”, così la immagina Gianna Manzini nel romanzo dedicato al padre anarchico. Francesco è intelligente, sguardo mite con una luce di collera, di modi gentili e di briosa vivacità; conseguito il diploma di ragioniere viene assunto alla Cassa di Risparmio di Ravenna. Giovanissimi si incontrano, si innamorano e si infiammano per l’idea dell’anarchia, che guiderà le scelte e i pensieri di tutta la loro vita. Tra militanza, fughe, confino e carcere, sono la coppia che accoglie gli amici anarchici nelle case sempre aperte di Firenze, Lugano, Napoli, Buenos Aires, Londra. Primi fra tutti Andrea Costa, Anna Kuliscioff ed Enrico Malatesta, che fu anche il terzo nella loro relazione per qualche anno. Moriranno a Firenze, lei nel 1911, cieca e piegata nella salute dopo il confino a Orbetello, lui suicida nel 1917, in un boschetto alle Cascine. In un biglietto scrive il disgusto “fino alla nausea di questo impasto di fango che si chiama mondo e della vigliaccheria degli uomini che lo subiscono”. La limpida anarchica e l’infaticabile organizzatore sono ancora assieme oggi, sempre, giorno dopo giorno, continuano a vivere nella scuola di San Bartolo (dove lo spettacolo ha debuttato nell’ottobre 2014). Il mondo è filtrato dalle voci dei bambini che la mattina occupano i banchi e i corridoi. Ogni notte sono soli, e continuano a ripercorrere le vicende di allora e quelle di oggi, in un dialogo mai interrotto in vita, ma ancora ardente, ancora in cerca di risposte. Continuano a parlare, a discutere, del sindacato dei panettieri di Buenos Aires e delle pagine arringanti de El Obrero Panadero, delle tetillas de monja, di libero amore, di libertà, di giustizia, del sacrificio per l’ideale, delle paludi dell’Orbetello, a decifrare i discorsi dei bambini, i suoni del paese e della strada, che da cent’anni accompagnano le loro giornate. In scena al Teatro milanese dell’Elfo dal 10 al 20 dicembre (sala Bausch). Informazioni e prenotazioni: 02.0066.06.06 – www.elfo.org
Michele OLIVIERI