D’ESPINOSA-CABASSI: ACCOPPIATA VINCENTE

Doppio, gradito ritorno all’Auditorium di Milano. Dopo le due apparizioni di inizio stagione, Gaetano d’Espinosa, direttore principale ospite de laVerdi, risale sul podio di largo Mahler alla guida dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi in occasione del 22° programma sinfonico, che propone il Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 K 466 di Mozart, affidata a Davide Cabassi. La guest star milanese prosegue così il ciclo dedicato ai concerti per pianoforte e orchestra del genio di Salisburgo, dopo avere riscosso unanimi consensi con l’esecuzione del concerto “Imperatore” di Beethoven, lo scorso giugno. Ma l’appuntamento con la grande musica di venerdì 20 febbraio e domenica 22 febbraio all’Auditorium riserva un’altra originalissima sorpresa. Il pubblico di largo Mahler potrà infatti godersi la messa in scena de “Il castello del Duca Barbablù”, unica opera lirica (atto unico) dell’ungherese Béla Bartók: raffinatissimo mix di horror, gotico e noir messo in (grande) musica e animato dalle voci soliste del basso Krisztiàn Cser e del mezzosoprano Dshamilja Kaiser. La nuova serie tematica dedicata agli ultimi concerti per pianoforte e orchestra di Mozart prosegue con il K 466, forse più drammatico e intenso, nella tonalità inquieta di re minore, perfetto bilanciamento di quello proposto stasera, il K 467, nella solare tonalità di Do maggiore. L’interpretazione è affidata a Davide Cabassi. Il direttore Gaetano d’Espinosa s’impegna poi in altri due lavori, diversamente difficili. La prima Sinfonia in assoluto scritta da Mozart a soli otto anni è un banco di prova sul piano stilistico, obbliga a trovare nella semplicità della scrittura manierata gli accenti della genialità futura. Ben diverso è il caso della partitura teatrale scritta da un Bartók giovane trentenne eppure maturo e ben consapevole dello spirito dei tempi. Il castello del Duca Barbablù mostra sintonia assoluta con il linguaggio espressionista germanico, i timbri dell’impressionismo francese, i ritmi della Russia primitiva. Al tutto si aggiunge il canto dei popoli danubiani appena assorbiti dalle ricerche sul campo. Ecco allora la diversa qualità del suono e della costruzione che spunta da ciascuna delle fatali sette porte, la luce discontinua che ne sgorga, il buio dell’introduzione che torna nel cupo finale. Cose che si percepiscono, forse, ancor più, se viene tolta la suggestione visiva e il gesto narrativo della rappresentazione. E resta la sola struttura, l’orchestra, il canto, insomma la musica.
                                                                                                               Michele OLIVIERI

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