Intervista al cantautore L’Iperuranio dopo l’ultimo tassello, “Madrenatura”

L’Iperuranio è il progetto cantautorale di Nicola Bertocchi, triestino classe ‘80, che a metà anni 2000 diventa L’Iperuranio, richiamando uno stile indie rock, mescola chitarre distorte a batteria e sintetizzatori. L’Iperuranio attraverso il suo singolo “Madrenatura“, ultimo estratto dal suo debut album “Postimpressionismo“, attira l’attenzione su uno dei suoi brani più riusciti. Abbiamo intervistato L’Iperuranio per parlare del suo progetto e farci raccontare i dettagli del suo nuovo album.

Ciao Nicola, partiamo dal titolo del tuo progetto cantautorale, L’Iperuranio, come è nato e che direzione sta prendendo?

Ciao! Diciamo che è nato sui banchi di scuola e all’inizio era solo “autorale”… Poi ho scoperto che la musica poteva completare le cose che già scrivevo. Conoscevo quattro o cinque accordi di chitarra e scrissi la prima canzone. Per Platone l’Iperuranio è il mondo delle idee, di tutte le idee. Nel mio caso faccio la sola cosa che può fare un artista oggi. Pesco dai miei ricordi e, senza inventare nulla, mischio le cose, rendendole però personali.

Ho tenuto tanto tempo le mie canzoni nel proverbiale cassetto, ma ora che ho cominciato a tirarle fuori, ci ho preso gusto…

“Madrenatura” è il tuo ultimo estratto dell’album “Postimpressionismo”, dal ritmo e ritornello molto incisivi e difficili da dimenticare, in quali aspetti questo brano rispecchia il tuo senso di personificazione della natura?

A me interessa indagare la natura umana, partendo dalle mie impressioni. L’esterno che prende forma nel nostro interno, dietro agli occhi. Mi piace tuttavia che anche le cose più difficili possano scivolare nelle orecchie di chi ascolta. Amo la melodia e al tempo stesso i contrasti. Madrenatura è in tal senso uno dei contrasti più forti del disco.

A proposito del tuo ultimo singolo “Madrenatura”, ho letto che si tratta una creazione di una decina di anni fa, come si è concretizzata l’idea creativa dell’interessante video che lo rappresenta?

Come per quasi tutti i video che ho realizzato finora, fondamentale la figura di Francesco Chiot, un caro amico e talentuoso videomaker. Partiamo sempre da discorsi a ruota libera, per decidere come trasferire la musica in immagini. Stavolta volevamo movimento. E al tempo stesso immergere un individuo in un mondo più grande di lui. Da questi presupposti Francesco ha scritto la sceneggiatura. Una “sliding door” che porta il protagonista a perdersi nella natura. 

Tu vieni da Trieste, ha ancora senso considerare la musica legata a un territorio preciso (come può essere stata la Milano degli anni 80 e 90, la Torino o la tua Trieste)? Nel tuo caso, com’è cambiata la scena musicale della tua zona in questi anni?

Trieste è una città particolare. Non esiste una vera e propria “scena” come in altre città o regioni. Ognuno segue un po’ il proprio percorso, in direzioni musicali spesso diversissime. Trieste è appunto una città di contrasti. E, come ti dicevo, io i contrasti li adoro e hanno un ruolo fondamentale nelle mie produzioni. 

Ami mescolare il rock all’utilizzo di sintetizzatori in un’era in cui l’uso del digitale per fare musica è diventato imprescindibile. Come si è evoluto il tuo modo il comporre e qual è il fil rouge che lega il tuo Album “Postimpressionismo”? 

Il disco è stato realizzato durante molti anni. Partendo dei miei stessi demo autoprodotti e portando in dote molte tracce da me registrate durante la scrittura dei pezzi. A mettere tutto insieme il produttore Nicola Ardessi, grande amico, con cui condividiamo molto nel gusto musicale. Lui ci ha messo tanto di suo e abbiamo coinvolto diversi musicisti per incidere le parti mancanti. In generale il leitmotiv è: batterie con pattern diretti, la mia immancabile chitarra “cialtrona” distorta, synth ben presenti e molto rotondi. Non mi piacciono i generi puri. Mi piace mischiare stili differenti. Non ho un modo univoco per comporre, vado a sensazione, di volta in volta. 

Che cosa gira almeno una volta al giorno nella tua playlist?

Negli ultimi due anni, credo “Ciao cuore” di Riccardo Sinigallia.

Cosa puoi anticipare sul prossimo capitolo dell’avventura de L’Iperuranio?

Ho già scritto numerosi pezzi per il prossimo disco, che nella mia testa ha già un nome. Sta virando su un sound più “anni ‘80”, ruota attorno ad un unico concetto e non vedo l’ora di proporre pezzi nuovi.

Grazie mille per averci accolto nell’accattivamente mondo de L’Iperuranio in cui è impossibile restare immobili.

Ringrazio Il Foglio Italiano per la chiacchierata e i lettori che si avventureranno in questo grottesco iperuranio…

Arianna Caracciolo