CONCERTO STRAORDINARIO
Domenica 13 settembre alle ore 20.00, laVerdi torna al Teatro alla Scala di Milano con il tradizionale concerto straordinario di inizio autunno. Sul podio del Piermarini, il maestro Jader Bignamini guiderà l’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi in un programma scintillante, con tre brani celeberrimi all’insegna della Grande Madre Russia: Rimskij-Korsakov in apertura con l’Ouverture dall’opera Una sposa per lo Zar; quindi Musorsgkij con Quadri di un’esposizione (versione Ravel); infine ancora Rimskij-Korsakov e la popolarissima Sheherazade, suite sinfonica ispirata alle Mille e una notte, affidata all’interpretazione solistica di Luca Santaniello, primo violino de laVerdi. Il programma comprende la Nona delle quattordici opere di Rimskij-Korsakov, composta durante l’estate del 1898, Una sposa per lo Zar (conosciuta anche come “La fidanzata dello Zar”) si colloca fra “Vera Seloga” e”La favola dello Zar Saltan”; con quest’opera il compositore abbandona i soggetti pastorali e favolistici in favore di un dramma cruento fatto di amore, tradimenti, avvelenamenti, torture e morte che qualcuno ha voluto avvicinare al verismo italiano, spingendosi persino a vedere nella tragica figura di Marfa la risposta russa alle pucciniane Manon e Mimì. A dispetto della trama fosca e sanguinaria è questa un’opera sostanzialmente lirica e dai toni intimistici. Rimskij-Korsakov sembra voler riaffermare da un lato la primazia del canto sull’orchestra, dall’altro cercare un nuovo linguaggio e nuove sonorità, con una scrittura strumentale spesso aspra e dura, lontanissima dall’orchestrazione caleidoscopica e lussureggiante di partiture come “Sadko”o “Lo Zar Saltan”. Non è Una sposa per lo Zar un’opera che si risolve in grandi scene corali o a suggestivi squarci sinfonici; la scrittura vocale è affatto particolare, arie e ariosi, si alternano a lunghi passi di conversazione, sostenuti spesso da uno strumentale scabro ed essenziale che tende a portare l’attenzione sul canto più che sull’orchestra. La difficoltà sono tutte formali e risiedono quindi non nella direzione ma nella concertazione. Concertazione che richiederebbe un direttore in grado di serrare in unico arco narrativo un materiale musicale molto eterogeneo e bilanciare accuratamente i pesi relativi di buca e palcoscenico, imprimendo direzionalità e coerenza sia al discorso musicale sia a quello teatrale. Fra i numerosi pezzi orchestrati di Ravel, propri e di altri autori, Quadri di un’esposizione di Musorgsky costituisce forse il lavoro più celebre. Il musicista francese lo condusse a termine nel 1922, dietro invito del direttore d’orchestra Koussevitzky, con un rispetto pressoché assoluto del testo originale. Con prodigiosa intuizione interpretativa, Ravel ha compiuto, più che una trascrizione, una vera e propria ricreazione della musica, dando luogo a un magico gioco di tinte che, nella composizione pianistica di Musorgsky, erano neceessariamente sottintese o allo stato di potenzialità, e lasciate quindi all’immaginazione dell’ascoltatore. È un dato di fatto che la versione raveliana non solo è considerata la migliore fra le tante intervenute per orchestrare i Quadri, ma si è praticamente imposta nelle sale da concerto anche sull’originale, assumendo in un certo senso il ruolo di “autentica”. Musorgsky compose la suite pianistica nel 1874, ispirato da un’esposizione postuma tenutasi a Mosca delle opere del pittore e architetto Viktor Hartmann, suo grande amico scomparso l’anno prima. La mostra comprendeva disegni e acquerelli di vario genere. Hartmann faceva parte di quel gruppo di intellettuali e artisti che il movimento dei Cinque (Balakirev, Cui, Rimskij-Korsakov, Borodin e lo stesso Musorgsky) aveva raccolto attorno a sé e con i quali si batteva per un’arte libera da ogni influsso straniero. Il compositore si servì di dieci dei quindici lavori esposti, per comporre una suite secondo i dettami della musica a programma, imperante all’epoca. La suite sinfonica Shéhérazade op. 35, ispirata alle Mille e una notte, può essere considerata un poema sinfonico in più parti: un punto d’incontro tra la forma della suite e la “non-forma” per eccellenza della orchestrale moderna, quella symphonische Dichtung già proposta da César Franck e da Franz Listz. Chi mieté i massimi successi con i suoi poemi sinfonici fu Richard Strauss, che tuttavia, pur diffidando dei “programmi” letterari e filosofici, ad essi si tenne fedele, presentandoci di volta in volta una “storia”. Rimskij-Korsakov, in questo suo lavoro, parve essere ancor più fedele al referente letterario e narrativo, offrendo sottotitoli per le singole parti della suite orchestrale, ma in verità questa è un’apparenza, poiché in Shéhérazade c’è soprattutto molto colore, destinato a evocare un clima, un’aura e uno stato d’animo di avventurosa eccitazione. La suite Shéhérazade fu composta nel 1888, al culmine della piena maturità artistica del compositore russo, quasi contemporaneamente all’ouverture La grande Pasqua russa. È significativo che proprio nel 1888 Strauss abbia scritto il suo Don Juan. Dopo un’appassionata rilettura delle Mille e una notte, e dopo avere concentrato l’attenzione su due figure chiave, Sheherazade e Sindbad il marinaio, Rimskij-Korsakov lavorò a Shehérazade durante la prima metà del 1888 e nei primi mesi d’estate, concludendo la partitura il 16 luglio di quell’anno mentre soggiornava a Neigovicij nel distretto di Luga, presso il Cernenec (a nord di Novgorod, quasi al confine con l’attuale Katonia). La prima esecuzione, che ebbe buon successo, fu diretta dallo stesso autore a Pietroburgo venerdì 9 novembre 1888. Due anni dopo la partitura fu edita. Ciò che colpisce nella partitura non è tanto l’uso (più volte negato dall’autore e tuttavia indubbio) del Leitmotiv, quanto la bellezza e l’evidenza suggestiva delle idee fondamentali e della maniera di svilupparle e di intrecciarle. Per informazioni e prenotazioni: 02.83389401/2/3 www.laverdi.org – www.vivaticket.it
Michele OLIVIERI