L’IGNORANTE E IL FOLLE
“L’ignorante e il folle” e? l’opera piu? programmatica del teatro bernhardiano. Scritto per il Festival di Salisburgo del 1972, a prima vista ne sembra una parodia. Qui si scopre che l’arte, anziche? essere esaltazione e salvezza per l’individuo, puo? divenire il suo opposto, ossia artificio, espediente, implacabile sforzo tecnico che minaccia di trasformare il soggetto in puro meccanismo. Il testo è stato messo in scena da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia al Teatro dell’Elfo nella primavera del 2008 e viene riproposto in questa stagione con lo stesso convincente cast. Dalle prime battute l’opera si presenta come una parodia dai risvolti macabri, nella quale personaggi inebetiti o lucidamente folli si compiacciono in discorsi senza scopo. La prima parte si svolge nell’intimità di un camerino, che la scenografia di Bruni e Frongia ha voluto drappeggiato di tende rosse e invaso da rose. Siamo all’Opera, dove sta per andare in scena Il flauto magico, ma la sovrabbondanza di fiori qui ha un sentore funereo. Il padre della soprano che interpreta la Regina della Notte e un amico Dottore aspettano impazienti l’arrivo della donna e ingannano il vuoto dell’attesa l’uno stordendosi con l’alcol e l’altro mescolando paradossi sull’arte e l’esistenza umana alla macabra descrizione di un’autopsia, “come se il bisturi della ragione potesse davvero trovare fra quei tessuti morti il senso o il non senso della vita”. Il corpo umano è una macchina, estremamente fragile – sostiene il Dottore – come delicato è strumento della voce sublime della cantante, un dono di natura affinato da un implacabile sforzo tecnico che riduce l’artista a puro meccanismo. Il primo atto si conclude in un crescendo parossistico: l’arrivo della cantante e la sua entrata in scena sono scanditi dal ripetersi di gesti banali, carichi delle ossessioni e degli incubi di ogni artista prima della prima. L’orchestra sta già suonando e la donna si abbandona al panico: il suo costume è destinato a strapparsi, la corona le cadrà dalla testa, sarà costretta a dare forfait. Alla fine, come ogni sera, andrà in scena. Non c’è scampo per i personaggi di Bernhard, quanto più cercano di sradicarsi dal ruolo in cui si ritrovano, tanto più hanno la sensazione di ripetere atteggiamenti già vissuti sperimentati in passato. Nel secondo atto ritroviamo i tre personaggi riuniti in un famoso ristorante viennese dopo lo spettacolo, soli e circondati da vasche popolate di aragoste che si muovono mute in attesa della morte. Potrebbero festeggiare un successo, invece proseguono i discorsi precedenti, intenti a sezionare la vita in punta di forchetta. Sembrano sull’orlo di un baratro che non sanno vedere: ciechi, alcolizzati, folli (o forse solo umani) sono destinati a precipitare nelle tenebre della mente e dell’oscurità che interrompe lo spettacolo. Ferdinando Bruni dà voce e corpo all’inarrestabile e maniacale ragionare del Dottore (ruolo che al debutto fu di Bruno Ganz), mentre la Marinelli ha il fascino e la svagatezza della Regina della Notte; Luca Toracca è un Padre instabile e confuso e Corinna Agustoni interpreta le figure silenziose ed enigmatiche della signora Vargo e del cameriere Winter. Teatro Elfo Puccini, sala Fassbinder (Milano) dal 7 al 29 marzo. www.elfo.org
Michele OLIVIERI